La cucina nella civiltà contadina

Settimana Santa, processione

L’epoca Etrusca vide la Valdichiana terra fertile e rigogliosa. Con l’avvento dell’impero romano, per evitare le numerose inondazioni dell’Urbe, fu costruita presso Orvieto una barriera che impediva alle acque del Clanis di riversarsi nel fiume Paglia, affluente del Tevere. L’acqua non poteva più defluire e in epoca medievale la Valdichiana era diventata una malsana palude. Passarono molti anni fino a quando il Granduca Pietro Leopoldo I di Lorena incaricò Vittorio Fossombroni che con il sistema delle colmate riuscì a bonificare tutta la valle che in pochi anni tornò coltivabile. Furono costruite le fattorie granducali e le inconfondibili Leopoldine dove abitavano i contadini. In questo contesto, si formarono le famiglie di tipo patriarcale basate sull’agricoltura: al vertice c’erano il capoccia e la massaia. Il primo si occupava dell’organizzazione finanziaria, dirigeva il lavoro di tutti i familiari e ogni sua decisione era senza appello, mentre la seconda gestiva la cucina, il pollaio e l’orto. Le figlie venivano date in spose, mentre i maschi rimanevano in casa e lavoravano con i nipoti nei campi. Solo il figlio primogenito si occupava della stalla dove si allevava la generosa razza chianina. La massaia cucinava per tutti ed usava i prodotti dell’agricoltura disponibili. Così nacquero alcuni piatti tipici della nostra cultura, basati sul ciclo delle stagioni. Nella grande cucina al centro dell’abitazione non potevano mancare il camino, la madia, il paiolo, la spianatoia, la padella, il pignatto e il tegame di coccio, ma lo strumento principale della massaia era il forno che spesso si trovava all’esterno dell’abitazione, nel sottoscala, dove poteva cuocere il pane, diventato quindi, l’alimento principale e il simbolo della vita stessa.


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